-Approfondimento
La genesi etico-politica della Divina Commedia
Francesco De Sanctis, in queste pagine della Storia della letteratura italiana dedicate alla Commedia di Dante, esce allo scoperto con le sue convenzioni poetiche su che cosè arte e cosa, al contrario, letteratura. Nellanalisi dello stesso capolavoro dantesco concede credito di intrinseca natura poetica non alla grandiosa strutturazione teologica e filosofica, quanto allo spirito, alla realtà che anima quella Commedia dellanima, vero specchio della cultura e del tempo medievale.
Che cosa è dunque la Commedia? È il medio evo realizzato come
arte, malgrado l'autore e malgrado i contemporanei. E guardate che gran cosa
è questa! Il medio evo non era un mondo artistico, anzi era il contrario
dell'arte. La religione era misticismo la filosofia scolasticismo. L'una scomunicava
l'arte, abbruciava le immagini, avvezzava gli spiriti a staccarsi dal reale.
L'altra viveva di astrazioni e di formole e di citazioni, drizzando l'intelletto
a sottilizzare intorno a' nomi e alle vacue generalità che si chiamavano
"essenze". Gli spiriti erano tirati verso il generale, più
disposti a idealizzare che a realizzare: ciò che è proprio il
contrario dell'arte. Ne' poeti semplici trovi il reale rozzo, senza formazione,
come ne' misteri, nelle visioni, nelle leggende. Ne' poeti solenni trovi una
forma o crudamente didascalica, o figurativa e allegorica. L'arte non era nata
ancora. C'era la figura; non c'era la realtà nella sua libertà
e personalità.
Dante raccoglie da' misteri la Commedia dell'anima, e fa di questa storia il
centro di una sua visione dell'altro mondo. Tutta questa rappresentazione non
è che senso letterale; la visione è allegorica, i personaggi sono
figure e non persone; ma ciò che è attivo nel suo spirito, lo
porta verso la figura e non verso il figurato. La sua natura poetica, tirata
per forza nelle astrattezze teologiche e scolastiche, ricalcitra e popola il
suo cervello di fantasmi e lo costringe a concretare, a materializzare, a formare
anche ciò che è più spirituale e impalpabile, anche Dio.
Quel mondo letterale lo ammalia, lo perseguita, lo assedia e non posa che non
abbia ricevuta la sua forma definitiva; e non è più lettera, ma
è spirito, non è più figura, ma è realtà,
è un mondo in sè compiuto e intelligibile, perfettamente realizzato.
Visione e allegoria, trattato e leggenda, cronache, storie, laude, inni, misticismo
e scolasticismo, tutte le forme, in questo gran mistero dell'anima o dell'umanità,
poema universale, dove si riflettono tutt'i popoli e tutti i secoli che si chiamano
il "medio evo".
Ma questo mondo artistico, uscito da una contraddizione tra l'intenzione del
poeta e la sua opera, non è compiutamente armonico, non è schietta
poesia. La falsa coscienza poetica disturba l'opera di quella geniale spontaneità,
e vi gitta dentro un tentennare, un non so che di mal sicuro e di non compiuto,
una mescolanza e crudezza di colori. Il pensiero, ora nella sua crudità
scolastica, ora abbellito d'immagini che pur non bastano a vincere la sua astrattezza,
vi ha troppo gran parte. Le sue figure allegoriche ricordano talora più
i mostri orientali che la schietta bellezza greca, personificazioni astratte,
anzi che persone conscie e libere. Preoccupato del secondo senso che ha in mente,
spesso gli escono particolari estranei alla figura, che turbano e distraggono
il lettore e gli rompono l'illusione. La presenza perenne di un altro senso,
che aleggia al di sopra della rappresentazione ed introducevisi a quando a quando,
ne turba la chiarezza e l'armonia. Anche lo stile, inviluppato alcuna volta
in rapporti lontani e sottili, perde la sua lucidità e riesce intralciato
e torbido. Non è un tempio greco: è un tempio gotico, pieno di
grandi ombre, dove contrari elementi pugnano, non bene armonizzati. Or rozzo,
or delicato. Ora poeta solenne, or popolare. Ora perde di vista il vero e si
abbandona a sottigliezze, ora lo intuisce rapidamente e lo esprime con semplicità.
Ora rozzo cronista, ora pittore finito. Ora si perde nelle astrattezze, ora
di mezzo a quelle fa germogliare la vita. Qui cade in puerilità, là
spicca il volo a sopraumane altezze. Mentre tien dietro a un sillogismo, brilla
la luce dell'immagine. E mentre teologizza, scoppia la fiamma del sentimento.
Talora ti trovi innanzi ad una fredda allegoria, quando tutto ad un tratto vi
senti dentro tremare la carne. Talora la sua credulità ti fa sorridere,
talora la sua audacia ti fa stupire. Fu un piccolo mondo, dove si rifletteva
tutta l'esistenza, com'era allora. I contrari elementi, che fermentavano in
una società ancora nello stato di formazione, contendevano in lui. E
senza che ne avesse coscienza. Se guardi alle sue aspirazioni, tutto è
armonia. Filosofo, pensa il regno della scienza e della virtù. Cristiano,
contempla il regno di Dio. Patriota, sospira al regno della giustizia e della
pace. Poeta, vagheggia una forma tutta luce e proporzione e armonia, lo bello
stile: il suo autore è Virgilio. Maggiore era la barbarie e la rozzezza,
e più si vagheggiava un mondo armonico e concorde. Ma il poeta è
inviluppato egli medesimo in quella rozza realtà e in quelle forme discordi;
e ne sente la puntura, e gli manca la serenità dell'artista. E gli esce
dalla fantasia un mondo dell'arte in gran parte realizzato, ma dove pur trovi
gli angoli e le scabrosità di una materia non perfettamente doma.
Entriamo in questo mondo, e guardiamolo in se stesso e interroghiamolo. Perchè
un argomento non è tabula rasa, dove si può scrivere a genio,
ma è marmo già incavato e lineato, che ha in sè il suo
concetto e le leggi del suo sviluppo. La più grande qualità del
genio è d'intendere il suo argomento, e diventare esso, risecando da
sè tutto ciò che non è quello. Bisogna innamorarsene, vivere
ivi dentro, essere la sua anima o la sua coscienza E parimente il critico, in
luogo di porsi innanzi regole astratte; e giudicare con lo stesso criterio la
Commedia e l'Iliade e la Gerusalemme e il Furioso, dee studiare il mondo formato
dal poeta, interrogarlo, indagare la sua natura che contiene in sè virtualmente
la sua poetica, cioè le leggi organiche della sua formazione, il suo
concetto, la sua forma, la sua genesi, il suo stile. Che cosa è l'altro
mondo?
È il problema dell'umana destinazione sciolto, è il mistero dell'anima
spiegato, è la fine della storia umana, il mondo perfetto l'eterno presente,
l'immutabile necessità. Nella natura non ci è più accidente,
nell'uomo non ci è più libertà. La natura è predeterminata
e fissata secondo una logica preconcetta, secondo l'idea morale. Reale e ideale
diventano identici, apparenza e sostanza è tutt'uno. L'uomo non ha più
libero arbitrio: è lì, fissato e immobilizzato, come natura. Ogni
azione è cessata; ogni vincolo che lega gli uomini in terra, è
sciolto: patria, famiglia, ricchezze, dignità, costumi. Non c'è
più successione, nè sviluppo, non principio e non fine: manca
il racconto e manca il dramma. L'individuo scompare nel genere. Il carattere,
la personalità, non ha modo di manifestarsi. Eterno dolore, eterna gioia,
senza eco, senza varietà, senza contrasto nè gradazione. Non ci
è epopea, perchè manca l'azione; non ci è dramma, perchè
manca la libertà; la lirica è l'immutabile e monotona espressione
di una sola aria; rimane l'esistenza nella sua immobile estrinsechezza, descrizione
della natura e dell'uomo.
Che cosa è dunque l'altro mondo per rispetto all'arte? È visione,
contemplazione, descrizione, una storia naturale.
Ma in questa visione penetra la leggenda o il mistero, perchè ivi dentro
è rappresentata la commedia o redenzione dell'anima nel suo pellegrinaggio
dall'umano al divino, "di Fiorenza in popol giusto e sano". Ci hai
dunque l'apparenza di un dramma, che si svolge nell'altro mondo, i cui attori
sono Dante, Virgilio, Catone, Stazio, il demonio, Matilde, Beatrice, san Pietro,
san Bernardo, la Vergine, Dio, dramma allegorico, come allegorica è la
Commedia dell'anima. Dico apparenza di un dramma, perchè la santificazione
nasce non dall'operare, ma dal contemplare, e Dante contempla, non opera, e
gli altri mostrano, insegnano. Il dramma dunque svanisce nella contemplazione.
Questo mondo così concepito era il mondo de' misteri e delle leggende,
divenuto mondo teologico-scolastico in mano a' dotti. Dante lo ha realizzato,
gli ha dato l'esistenza dell'arte, ha creato quella natura e quell'uomo. E se
il suo mondo non è perfettamente artistico, il difetto non è in
lui, ma in quel mondo, dove l'uomo è natura e la natura è scienza,
e da cui è sbandito l'accidente e la libertà, i due grandi fattori
della vita reale e dell'arte.
Se Dante fosse frate o filosofo, lontano dalla vita reale, vi si sarebbe chiuso
entro e non sarebbe uscito da quelle forme e da quell'allegoria. Ma Dante, entrando
nel regno de' morti, vi porta seco tutte le passioni de' vivi, si trae appresso
tutta la terra. Dimentica di essere un simbolo o una figura allegorica, ed è
Dante, la più potente individualità di quel tempo, nella quale
è compendiata tutta l'esistenza, com'era allora, con le sue astrattezze,
con le sue estasi, con le sue passioni impetuose, con la sua civiltà
e la sua barbarie. Alla vista e alle parole di un uomo vivo, le anime rinascono
per un istante, risentono l'antica vita, ritornano uomini; nell'eterno ricomparisce
il tempo; in seno dell'avvenire vive e si muove l'Italia, anzi l'Europa di quel
secolo. Così la poesia abbraccia tutta la vita, cielo e terra, tempo
ed eternità, umano e divino; ed il poema soprannaturale diviene umano
e terreno, con la propria impronta dell'uomo e del tempo. Riapparisce la natura
terrestre, come opposizione, o paragone, o rimembranza. Riapparisce l'accidente
e il tempo, la storia e la società nella sua vita esterna ed interiore;
spunta la tradizione virgiliana, con Roma capitale del mondo e la monarchia
prestabilita, ed entro a questa magnifica cornice hai come quadro la storia
del tempo, Bonifazio ottavo, Roberto, Filippo il Bello, Carlo di Valois, i Cerchi
e i Donati, la nuova e l'antica Firenze, la storia d'Italia e la sua storia,
le sue ire, i suoi odii, le sue vendette, i suoi amori, le sue predilezioni.
Così la vita s'integra, l'altro mondo esce dalla sua astrazione dottrinale
e mistica, cielo e terra si mescolano, sintesi vivente di questa immensa comprensione
Dante, spettatore, attore e giudice. La vita guardata dall'altro mondo acquista
nuove attitudini, sensazioni e impressioni. L'altro mondo guardato dalla terra
veste le sue passioni e i suoi interessi. E n'è uscita una concezione
originalissima, una natura nuova e un uomo nuovo. Sono due mondi onnipresenti,
in reciprocanza d'azione, che si succedono, si avvicendano, s'incrociano, si
compenetrano, si spiegano e s'illuminano a vicenda, in perpetuo ritorno l'uno
nell'altro. La loro unità non è in un protagonista, nè
in un'azione, nè in un fine astratto ed estraneo alla materia, ma è
nella stessa materia; unità interiore e impersonale, vivente indivisibile
unità organica, i cui momenti si succedono nello spirito del poeta, non
come meccanico aggregato di parti separabili, ma penetranti gli uni negli altri
e immedesimantisi, com'è la vita. Questa energica e armoniosa unità
è nella natura stessa de' due mondi, materialmente distinti ma una cosa
nell'unità della coscienza. Cielo e terra sono termini correlativi, l'uno
non è senza l'altro; il puro reale ed il puro ideale sono due astrazioni;
ogni reale porta seco il suo ideale; ogni uomo porta seco il suo inferno e il
suo paradiso; ogni uomo chiude nel suo petto tutti gli dei d'Olimpo: lo scettico
può abolire l'inferno, non può abolir la coscienza. Appunto perchè
i due mondi sono la vita stessa nelle sue due facce, in seno a questa unità
si sviluppa il più vivace dualismo, anzi antagonismo: l'altro mondo rende
i corpi ombre, ombre gli affetti e le grandezze e le pompe, ma in quelle ombre
freme ancora la carne, trema il desiderio, suonano d'imprecazioni terrene fino
le tranquille vòlte del cielo. Gli uomini, con esso le loro passioni
e vizi e virtù rimangono eterni, come statue, in quell'attitudine, in
quella espressione di odio, di sdegno, di amore, che sono stati colti dall'artista;
ma mentre l'altro mondo eterna la terra, trasportandola nel suo seno e ponendole
dirimpetto l'immagine dell'infinito, ne scopre il vano e il nulla: gli uomini
sono gli stessi in un diverso teatro, che è la loro ironia. Questa unità
e dualità uscente dall'imo stesso della situazione balena al di fuori
nelle più varie forme, ora in un'apostrofe, ora in un discorso, ora in
un gesto, ora in un'azione, ora nella natura, ora nell'uomo. In questa unità
penetra la più grande varietà, nè è facile trovare
un lavoro artistico, in cui il limite sia così preciso e così
largo. Niente è nell'argomento che costringa il poeta a preferire il
tal personaggio, il tal tempo, la tale azione: tutta la storia, tutti gli aspetti
sotto a' quali si è mostrata l'umanità, sono a sua scelta; e può
abbandonarsi a suo talento alle sue ire e alle sue opinioni, e può intramettere
nello scopo generale fini particolari, senza che ne scapiti l'unità.
Il che dà al suo universo compiuta realità poetica, veggendosi
nella permanente unità tutto ciò che sorge e dalla libertà
dell'umana persona e dall'accidente, e moversi con vario gioco tutt'i contrasti,
e il necessario congiunto col libero arbitrio, e il fato col caso.
Adunque, che poesia è codesta? Ci è materia epica, e non è
epopea; ci è una situazione lirica, e non è lirica; ci è
un ordito drammatico, e non è dramma. È una di quelle costruzioni
gigantesche e primitive, vere enciclopedie, bibbie nazionali, non questo o quel
genere, ma il tutto, che contiene nel suo grembo ancora involute tutta la materia
e tutte le forme poetiche, il germe di ogni sviluppo ulteriore. Perciò
nessun genere di poesia vi è distinto ed esplicato: l'uno entra nell'altro,
l'uno si compie nell'altro. Come i due mondi sono in modo immedesimati, che
non puoi dire: Qui è l'uno, e qui è l'altro ; così
i diversi generi sono fusi di maniera, che nessuno può segnare i confini
che li dividono, nè dire: Questo è assolutamente epico,
e questo è drammatico.
È il contenuto universale, di cui tutte le poesie non sono che frammenti,
il "poema sacro", l'eterna geometria e l'eterna logica della creazione
incarnata ne' tre mondi cristiani: la città di Dio, dove si riflette
la città dell'uomo in tutta la sua realtà del tal luogo e del
tal tempo; la sfera immobile del mondo teologico, entro di cui si movono tempestosamente
tutte le passioni umane.
L'idea che anima la vasta mole e genera la sua vita e il suo sviluppo, è
il concetto di salvazione, la via che conduce l'anima dal male al bene, dall'errore
al vero, dall'anarchia alla legge, dal molteplice all'uno. È il concetto
cristiano e moderno dell'unità di Dio sostituita alla pluralità
pagana. Questo concetto, se fosse solo un di fuori, spiegato nella sua astrattezza
dottrinale come pensiero, o rappresentato in forma allegorica come figurato,
non basterebbe a generare un'opera d'arte. Ma qui è non solo il di fuori,
ma il di dentro, non solo il significato e la scienza di quel mondo opera di
filosofo e di critico, ma principio attivo, com'è nell'uomo e nella natura,
che costruisce e forma quel mondo, e gli dà una storia e uno sviluppo.
Questo principio attivo, se nella sua astrattezza si può chiamare il
vero o il bene, o la virtù o la legge, come realtà viva e operosa
è lo spirito, che ha per suo contrario la materia o la carne, dove sta
come in una prigione o in un "vasello", da cui si sforza di uscire.
La vita è perciò un antagonismo, una battaglia tra lo spirito
e la carne, tra Dio e il demonio. E la sua storia è la progressiva vittoria
dello spirito, la costui consapevolezza e libertà sotto le forme in cui
vive, il suo successivo assottigliarsi e scorporarsi e idealizzarsi sino a Dio,
assoluto spirito, la Verità, la Bontà, l'Unità, l'ultimo
Ideale. Il concetto dantesco, lo spirito che alita per entro al suo mondo, è
dunque la progressiva dissoluzione delle forme, un costante salire di carne
a spirito, l'emancipazione della materia e del senso mediante l'espiazione e
il dolore, la collisione tra il satanico e il divino, l'inferno e il paradiso,
posta e sciolta. Omero trasporta gli dèi in terra e li materializza;
Dante trasporta gli uomini nell'altro mondo e li spiritualizza. La materia vi
è parvenza; lo spirito solo è; gli uomini sono ombre; i fatti
umani si riproducono come fantasmi innanzi alla memoria; la terra stessa è
una rimembranza che ti fluttua avanti come una visione; il reale, il presente
è l'infinito spirito; tutto l'altro è "vanità che
par persona". Questo assottigliamento è progressivo: il velo si
fa sempre più trasparente. L'Inferno è la sede della materia,
il dominio della carne e del peccato; il terreno vi è non solo in rimembranza,
ma in presenza; la pena non modifica i caratteri e le passioni; il peccato,
il terrestre si continua nell'altro mondo e s'immobilizza in quelle anime incapaci
di pentimento: peccato eterno, pena eterna. Nel Purgatorio cessano le tenebre
e ricomparisce il sole, la luce dell'intelletto, lo spirito; il terreno è
rimembranza penosa che il penitente si studia di cacciar via, e lo spirito sciogliendosi
dal corporeo si avvia al compiuto possesso di sè, alla salvazione. Nel
Paradiso l'umana persona scomparisce, e tutte le forme si sciolgono ed alzano
nella luce; più si va su, e più questa gloriosa trasfigurazione
s'idealizza, insino a che al cospetto di Dio, dell'assoluto spirito, la forma
vanisce e non rimane che il sentimento:
... ... tutta cessa
mia visione e ancor mi distilla
nel cor lo dolce che nacque da essa.
Così la neve al sol si disigilla;
così al vento nelle foglie lievi
si perdea la sentenzia di Sibilla.
Questo concetto comprende tutto lo scibile e tutta la storia; non solo costruisce
e sviluppa il mondo dantesco, ma lo incontrate sempre vivo nel cammino intellettuale
e storico della vita, sotto tutte le forme, in tutte le quistioni che si affacciano
al poeta, in religione, in filosofia, in politica, in morale, e così
si concreta e compie in tutti gl'indirizzi della vita. In religione è
il cammino dalla lettera allo spirito, dal simbolo all'idea, dal vecchio al
nuovo Testamento; nella scienza dall'ignoranza e dall'errore alla ragione e
dalla ragione alla rivelazione; in morale dal male al bene, dall'odio all'amore,
mediante l'espiazione; in politica dall'anarchia all'unità. Sottoposto
alle condizioni di spazio e di tempo, diventa storia: il tale uomo, il tale
popolo, il tale secolo. In religione vi sta innanzi la Chiesa romana, il papato,
che il poeta vuole emancipare dalle cure e passioni terrene e ricondurre al
suo fine spirituale; in filosofia avete la scienza volgare e la scienza della
verità in paradiso; in morale vi stanno innanzi le passioni, le discordie,
le colpe e i vizi della barbara età, dalle quali vi sentite a poco a
poco allontanare nel vostro cammino verso il sommo bene; in politica è
l'Italia anarchica e sanguinosa che il poeta aspira a comporre a pace e concordia
nell'unità dell'impero. Così un solo concetto penetra il tutto,
come forma, come pensiero e come storia. Mai più vasta e concorde comprensione
non era uscita da mente di uomo. Alcuni ci vedono dentro l'altro mondo, e il
resto è una intrusione e quasi una profanazione; Edgardo Quinet rimane
choqué veggendo come le passioni del poeta lo inseguono fino in paradiso;
altri ci veggono un mondo politico, di cui quello sia la rappresentazione sotto
figura. Chiamano questo poema o "religioso", o "politico",
o "didascalico", o "morale", lo riducono a querele di cattolici
e protestanti, a dispute di guelfi e ghibellini. Guardano non dall'alto del
monte, dalla pianura, e prendono per il tutto quello che incontrano nella diritta
linea del loro cammino. Ciascuno si fabbrica un piccolo mondo e dice:
Questo è il mondo di Dante. E il mondo di Dante contiene tutti
quei mondi in sè. È il mondo universale del medio evo realizzato
dall'arte.
Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana.
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